Quanto costa licenziare un dipendente?
Licenziare un dipendente non è mai una scelta semplice da affrontare, sia nei confronti del dipendente che nei confronti dell’azienda stessa. Le ragioni che spingono un datore di lavoro verso questa strada sono tante, a volte dettate dalle condizioni lavorative altre volte da conflitti con il dipendente. A partire dal 2013, l’azienda che licenzia è tenuta a pagare un contributo allo Stato. Questo contributo prende il nome di ticket Naspi ed è volto a finanziare l’assegno di disoccupazione percepito dal dipendente, erogato dall’Inps quando la perdita del lavoro non è da imputare al dipendente stesso.
Ticket Naspi
Il ticket Naspi non rappresenta una sanzione per l’azienda anche se ha comunque un peso economico e incide sulle finanze aziendali. Esistono però dei casi in cui le imprese possono recuperare l’importo versato, ad esempio quando il licenziamento è causato da un comportamento grave del dipendente, che vedrà trattenuta la “tassa del licenziamento” dall’ultima busta paga o dal Tfr. Questa possibilità si è resa necessaria per scoraggiare i dipendenti ad avere comportamenti gravi con lo scopo di farsi licenziare e ricevere la disoccupazione.
Al di là di queste particolari condizioni, il ticket licenziamento deve essere versato se si verifica l’interruzione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato, secondo le cause previste che danno diritto all’assegno di disoccupazione. Sono inclusi anche i rapporti di lavoro intermittente, le imprese cooperative e i consorzi. Il ticket è dovuto sia per i licenziamenti individuali che per quelli collettivi.
Quando è previsto il pagamento del ticket Naspi
I casi in cui il datore di lavoro è tenuto al pagamento del ticket sono:
- le dimissioni del lavoratore perché l’azienda ha previsto il trasferimento, nel caso in cui le sue mansioni subiscano modifiche importanti nei tre mesi successivi al trasferimento;
- l’interruzione del rapporto di lavoro per rifiuto del lavoratore del trasferimento in un’altra sede della stessa azienda che dista oltre 50 km dalla residenza o raggiungibile in oltre 80 minuti usando mezzi di trasporto pubblico;
- le dimissioni del lavoratore per giusta causa o in coincidenza del periodo tutelato di maternità;
- il licenziamento per giustificato motivo oggettivo, soggettivo o per giusta causa;
- il recesso durante o al termine del periodo di prova, anche per mancato superamento del periodo di prova;
- il recesso dal contratto di apprendistato, nel corso o al termine del periodo formativo;
- il licenziamento nel periodo tutelato di maternità.
Quanto vale il ticket Naspi?
Veniamo al dunque e vediamo quanto costa al datore di lavoro licenziare un dipendente. Il licenziamento individuale prevede un ticket Naspi del valore pari al 41% del massimale mensile Naspi per ogni anno di anzianità aziendale che il lavoratore ha accumulato negli ultimi tre anni. In caso di rapporti di lavoro inferiori ai 12 mesi, questa percentuale va riconsiderata in proporzione al numero di mesi lavorati, pari ad almeno 15 giorni.
Facciamo un esempio in relazione al 2022. La retribuzione imponibile che dobbiamo prendere in riferimento è 1.250,87 euro, con un massimale di 1.360,77 euro. La circolare n. 26/2022 ha ridefinito i criteri e il massimale, portando il ticket per il licenziamento al valore di 557,92 euro (ovvero il 41% del massimale mensile di 1.360,77 euro) per ogni anno di servizio del lavoratore cessato, fino ad un importo massimo di euro 1.673,76.
Se un dipendente ha lavorato per due anni occorre moltiplicare 557,92 per ogni anno di lavoro. Il ticket Naspi avrà quindi un valore di 1.115,84.
Al ticket poi si va ad aggiungere l’importo della prestazione individuale che risulta però scollegato ed è dovuto nella stessa misura sia nei lavori a tempo pieno che a tempo parziale.
All’inizio dell’articolo abbiamo detto che licenziare un dipendente è una scelta difficile anche per l’azienda stessa. La ragione è che decidere di mandare via una risorsa può significare un fallimento, un investimento in termini di tempo e denaro che non ha prodotto frutti e un campanello d’allarme in termini di turnover aziendale da tenere sempre monitorato.