Licenziamento per ostruzionismo: cos’è e quando è lecito
L’ostruzionismo sul lavoro è una problematica che può compromettere seriamente l’efficienza e l’armonia all’interno di un’azienda. Ma quando è lecito il licenziamento per ostruzionismo? In questo articolo, esploreremo cosa si intende per ostruzionismo, i suoi effetti sull’ambiente di lavoro e le condizioni in cui può essere giustificato un licenziamento, considerata la nuova ordinanza della Cassazione (n. 18296/2024), che stabilisce un precedente inedito nel diritto del lavoro.
Cosa si intende per ostruzionismo sul lavoro
L’ostruzionismo in azienda, e più in generale sul luogo di lavoro, si manifesta attraverso atteggiamenti e comportamenti volti a rallentare o impedire il normale svolgimento delle attività aziendali, anche ostacolando il processo produttivo. Questi comportamenti possono includere:
- ritardi continui e ingiustificati
- mancato rispetto delle scadenze
- resistenza passiva all’attuazione di direttive
- boicottaggio delle iniziative aziendali
- creazione di conflitti interni
Tali atteggiamenti ostruzionistici del lavoratore non solo riducono la produttività, ma possono anche influire negativamente sul morale e sulle prestazioni degli altri dipendenti, creando un ambiente di lavoro ostile.
Quando il licenziamento per ostruzionismo è lecito
Ma quindi chi fa ostruzionismo può essere licenziato? Recentemente la Cassazione ha affrontato il tema dell’ostruzionismo sul lavoro nella sentenza n. 18296 del 2024. In questa decisione, la Corte ha ribadito che il licenziamento per ostruzionismo è giustificato quando i comportamenti del lavoratore sono sistematici e intenzionali, dimostrando, nei fatti, la volontà di sabotare l’attività aziendale.
Cosa stabilisce l’ordinanza 4 luglio 2024 n. 18296 della Cassazione
Il caso riguarda un lavoratore di una società di igiene urbana che ha contestato in tribunale il licenziamento ricevuto per essersi rifiutato di eseguire un compito richiesto, causando un grave danno alla società. La Corte d’Appello ha rigettato la domanda del lavoratore, ritenendo che la condotta contestata non rientrasse nel concetto di mera insubordinazione, ma fosse caratterizzata da un grave e consapevole inadempimento tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario.
La Cassazione, nel confermare la pronuncia di merito, ha rilevato preliminarmente che la nozione di insubordinazione non può essere limitata al rifiuto di adempimento delle disposizioni dei superiori, ma deve ricomprendere qualsiasi comportamento atto a pregiudicare l’esecuzione e il corretto svolgimento delle suddette disposizioni nel quadro dell’organizzazione aziendale.
Secondo i Giudici di legittimità, si va oltre il concetto di insubordinazione tutte le volte che si è in presenza di un grave e consapevole inadempimento dei compiti assegnati, caratterizzato da una strategia ostruzionistica del dipendente. Per la sentenza, un comportamento di tal genere, che è articolato e complesso, avendo natura commissiva ed omissiva, non può essere inquadrato nel mero rifiuto di adempiere alle direttive dell’impresa o in una condotta finalizzata unicamente a pregiudicare il corretto svolgimento delle disposizioni aziendali. Piuttosto, esso integra un atteggiamento volutamente ostruzionistico, non ragionevole e non disponibile.
Su tali presupposti, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso del dipendente e ha confermato la legittimità della sanzione espulsiva impugnata, confermandola tra le tipologie di licenziamento lecite.
Ostruzionismo in mala fede: come riconoscerlo
Riconoscere l’ostruzionismo in mala fede può essere complesso, ma ci sono alcuni segnali che possono indicare l’intenzionalità dei comportamenti.
- Persistenza: il dipendente continua a mostrare atteggiamenti ostruzionistici nonostante i richiami e le sanzioni.
- Rivolta: il lavoratore manifesta apertamente disaccordo con le politiche aziendali e cerca attivamente di ostacolare le iniziative.
- Azioni coordinate: l’ostruzionismo viene attuato in collaborazione con altri dipendenti, suggerendo un piano strategico per destabilizzare l’ambiente lavorativo.
Quando questi segnali sono evidenti, l’azienda può considerare la possibilità di un licenziamento per giusta causa. Una situazione del genere, dunque, può manifestarsi in modalità diverse e, soprattutto, avere motivazioni differenti, come l’insoddisfazione per le condizioni di lavoro, un disaccordo con la gestione o, più banalmente, un atteggiamento negativo del dipendente. In ogni caso, è fondamentale che l’azienda intervenga tempestivamente per evitare che tali comportamenti possano danneggiare l’organizzazione nel lungo termine: prima con provvedimenti disciplinari più lievi, come la lettera di richiamo, e poi valutando azioni definitive, come il licenziamento.
In questi casi, è fondamentale che le aziende seguano le procedure disciplinari previste e raccolgano prove sufficienti per dimostrare la mala fede del dipendente, anche considerando e avendo bene in mente quanto costa licenziare un dipendente prima di procedere.